Il Patronato Inca-Cgil (in collaborazione con il sindacato Ogbl) ha organizzato per mercoledì 26 marzo alle ore 18.30 presso la Chambre des salariés a Lussemburgo città (Bonnevoie) un incontro aperto al pubblico per spiegare quanto sia importante andare a votare e quanto valgano le ragioni del “sì”, al fine di combattere il precariato giovanile e dare maggiori diritti di cittadinanza ai tanti stranieri che da anni vivono e lavorano in Italia. sarà presente Filippo Ciavaglia, segretario nazionale CGIL responsabile delle politiche europee e internazionali che abbiamo intervistato
Precarietà e diritti dei lavoratori: uno dei temi centrali di questo referendum è la lotta alla precarietà. Quali sono, secondo te le misure più urgenti da adottare per garantire maggiore stabilità ai lavoratori in Italia e quali lezioni possiamo trarre dall’esperienza di altri Paesi europei?
La lotta alla precarietà è uno dei temi più urgenti per garantire maggiore stabilità ai lavoratori in Italia. La precarietà lavorativa ha effetti devastanti non solo sulle condizioni economiche dei singoli, ma anche sul benessere sociale e sulla coesione del paese. Per affrontare questo problema, alcune misure urgenti da adottare includono:
- Contratti a tempo indeterminato come norma: La priorità dovrebbe essere quella di promuovere il contratto a tempo indeterminato come forma prevalente di lavoro, riducendo al minimo l’uso di contratti precari, come quelli a termine e i contratti di somministrazione, che spesso vengono utilizzati in modo improprio.
- Rafforzare la protezione sociale: Un altro passo importante è migliorare la protezione sociale per i lavoratori precari. Ciò include l’ampliamento delle tutele relative alla disoccupazione, malattia e maternità, e la creazione di una rete di sicurezza per i lavoratori atipici, come i freelance o i lavoratori a partita IVA, che oggi sono spesso privi di una protezione adeguata;
- Contratti collettivi più efficaci: Rafforzare il ruolo dei contratti collettivi di lavoro, e soprattutto limitare i tanti contratti nazionali privi di rappresentanza, potrebbe essere un mezzo fondamentale per garantire maggiore stabilità e tutela ai lavoratori. È necessario che i contratti collettivi coprano anche i lavoratori con forme di lavoro atipiche, per proteggerli da abusi;
- Migliorare la formazione e l’occupabilità: Investire nella formazione continua e nelle politiche attive del lavoro, per garantire che i lavoratori abbiano le competenze richieste in un mercato del lavoro in continua evoluzione, è fondamentale per ridurre la disoccupazione e la precarietà. Inoltre, programmi di riqualificazione professionale possono aiutare i lavoratori a transire tra settori in crescita;
- Ridurre la segmentazione del mercato del lavoro: È essenziale ridurre la divisione tra lavoratori “protetti” (con contratti stabili) e “non protetti” (con contratti precari). In questo senso, una riforma del sistema di ammortizzatori sociali che non faccia distinzione tra i vari tipi di contratti, ma che tuteli tutti i lavoratori, sarebbe fondamentale.
Lezioni dall’esperienza di altri Paesi europei:
• Germania: La Germania ha implementato politiche di formazione continua e ha un sistema di contratti di lavoro che facilita la transizione tra il lavoro precario e quello stabile, attraverso l’uso di agenzie interinali che offrono percorsi di stabilizzazione.
La stabilità viene promossa anche attraverso una rete di protezione sociale molto forte, che offre sostegni in caso di disoccupazione anche a chi ha contratti a termine;
• Paesi scandinavi: Paesi come la Svezia e la Danimarca hanno sviluppato politiche molto inclusive sul fronte del lavoro. Le loro economie si basano su un modello di flessicurezza, che combina flessibilità per le imprese con forti tutele per i lavoratori, compresi ampi ammortizzatori sociali e politiche di reinserimento nel mercato del lavoro;
• Francia: La Francia ha adottato un sistema di contratti di lavoro più rigido, con ampie tutele per i lavoratori a tempo indeterminato. La riforma delle politiche del lavoro è stata focalizzata sul miglioramento della protezione sociale e sulla riduzione della disoccupazione attraverso la promozione di un mercato del lavoro che favorisca la stabilizzazione;
• Spagna: La Spagna ha recentemente intrapreso un’importante riforma del lavoro per affrontare la precarietà, soprattutto attraverso il Decreto-legge 32/2021, che ha introdotto misure per ridurre il ricorso a contratti temporanei e migliorare la qualità dell’occupazione. La riforma punta a favorire la stabilizzazione del lavoro, limitando l’abuso dei contratti a termine e incentivando i contratti a tempo indeterminato. Una delle principali novità è stata l’introduzione di nuove regole che stabiliscono che i contratti temporanei siano giustificati solo in circostanze specifiche e non possano essere utilizzati per esigenze ordinarie delle imprese.
Inoltre, la Spagna ha sviluppato un sistema di ammortizzatori sociali come il sistema di indennità di disoccupazione (seguro de desempleo) che copre anche i lavoratori con contratti precari. Anche durante la pandemia, il Paese ha implementato un programma di “ERTE” (Expedientes de Regulación Temporal de Empleo), che ha permesso alle aziende di ridurre temporaneamente le ore di lavoro o sospendere i contratti senza licenziare i dipendenti, proteggendo così milioni di lavoratori precari.
Un altro aspetto importante è il patto sociale e i contratti collettivi: la Spagna ha un sistema di contratti collettivi che comprende tutele per i lavoratori a tempo parziale, temporaneo e autonomo, cercando di ridurre la disparità tra i vari tipi di contratti.
In sintesi, la Spagna ha intrapreso un processo di riforma per combattere la precarietà con misure mirate a stabilizzare i contratti, migliorare la protezione sociale e ridurre l’abuso dei contratti temporanei. La recente riforma ha cercato di creare un sistema di lavoro più equo e meno segmentato, un modello che l’Italia potrebbe considerare per affrontare la propria sfida della precarietà.
In conclusione, la lotta alla precarietà richiede una serie di misure che vanno dalla stabilizzazione dei contratti alla protezione sociale, fino a politiche attive per l’inserimento e la formazione dei lavoratori. Guardando ai Paesi europei che hanno ottenuto buoni risultati, l’Italia può trarre insegnamento dal modello di flessicurezza e dalle politiche di protezione sociale più inclusive.
Sicurezza sul lavoro: il numero di morti sul lavoro in Italia è ancora drammaticamente alto. Credi che le attuali normative siano insufficienti o che il problema sia legato alla loro scarsa applicazione? Quali strumenti concreti propone la CGIL per affrontare questa emergenza?
Il numero di morti sul lavoro in Italia rimane purtroppo molto elevato, nonostante gli sforzi compiuti negli ultimi anni per migliorare la sicurezza sul lavoro. La causa principale di questo fenomeno è probabilmente una combinazione di normative che, seppur complete, spesso non vengono applicate con la dovuta severità e continuità. Le leggi esistenti, come il Decreto Legislativo 81/08, che stabilisce le misure di sicurezza sui luoghi di lavoro, sono sicuramente adeguate in teoria, ma la vera sfida risiede nel loro rispetto e monitoraggio.
Il problema è dunque in gran parte legato alla scarsa applicazione delle normative, che può essere influenzata da diversi fattori: carenza di controlli, resistenza culturale alla prevenzione, e pressioni economiche che spesso inducono a trascurare la sicurezza a favore di altre priorità.
Per affrontare questa emergenza, la CGIL (Confederazione Generale Italiana del Lavoro) propone una serie di strumenti concreti, tra cui:
- Incrementare i controlli e le ispezioni: Rafforzare gli organi preposti ai controlli sul rispetto delle normative e garantire sanzioni più severe per le violazioni;
- Formazione continua e sensibilizzazione: Promuovere corsi di formazione per i lavoratori e i datori di lavoro sulla sicurezza, assicurando che la cultura della prevenzione diventi una priorità all’interno di tutte le realtà aziendali;
- Miglioramento delle condizioni di lavoro: In particolare, intervenire nelle aziende ad alto rischio, come quelle dell’edilizia e dell’agricoltura, per migliorare le infrastrutture e gli strumenti di protezione;
- Partecipazione dei lavoratori: Rafforzare il coinvolgimento attivo dei lavoratori nella gestione della sicurezza, attraverso il rafforzamento dei rappresentanti per la sicurezza (RLS) e una maggiore partecipazione alle decisioni aziendali riguardo la salute e la sicurezza.
- Una chiara responsabilità nella filiera degli appalti per far si che non si scarichi tutto sull’ultimo anello della filiera.
In sintesi, le normative non sono insufficienti, ma la loro applicazione deve essere migliorata e accompagnata da un cambiamento culturale che metta al centro la vita e la salute dei lavoratori.
Cittadinanza e inclusione: il referendum pone l’accento anche sulla questione della cittadinanza per migliaia di italiani di fatto, ma non di diritto. Quanto sarebbe importante questa riforma per il futuro economico e sociale del Paese? Ritieni che vi sia una reale apertura politica per affrontare questo tema?
La riforma della cittadinanza, che mira a riconoscere il diritto di cittadinanza a migliaia di italiani di fatto ma non di diritto, sarebbe un passo fondamentale per il futuro economico e sociale del Paese. Infatti, molti dei migranti nati in Italia o residenti da lungo tempo, pur essendo parte integrante della società, non godono di pieni diritti civili e politici, inclusi il diritto di voto e l’accesso a determinati servizi e opportunità. Riconoscere loro la cittadinanza non solo rappresenterebbe un atto di giustizia sociale, ma stimolerebbe anche l’inclusione e la partecipazione attiva di una parte significativa della popolazione, che attualmente è spesso esclusa da alcune opportunità.
Dal punto di vista economico, questa riforma potrebbe anche avere effetti positivi. L’inclusione di queste persone nel sistema produttivo e sociale, attraverso l’accesso ai diritti di cittadinanza, contribuirebbe alla crescita del Paese, favorendo una maggiore partecipazione al mercato del lavoro e al mondo sociale del paese. In un contesto demografico come quello italiano, con una popolazione che invecchia e una bassa natalità, il riconoscimento della cittadinanza a chi è già radicato nel territorio potrebbe anche rafforzare la coesione sociale e favorire l’integrazione di talenti e competenze.
Per quanto riguarda l’apertura politica, è evidente che il tema della cittadinanza è ancora oggetto di dibattito e polarizzazione. Sebbene ci siano forze politiche favorevoli alla riforma, specialmente tra i progressisti e coloro che pongono l’accento sull’inclusione, le resistenze sono ancora forti, soprattutto in alcune aree politiche e tra coloro che temono che un cambiamento di questa natura possa mettere a rischio l’identità nazionale o avere impatti negativi sull’equilibrio socio-economico. Nonostante ciò, vi è un crescente movimento a favore della riforma, soprattutto tra le nuove generazioni e le organizzazioni della società civile, che vedono in questa riforma una via per modernizzare e rendere più giusta la nostra democrazia.
In conclusione, sebbene vi siano resistenze politiche, la riforma della cittadinanza sarebbe un passo significativo per il futuro del Paese, con benefici sia economici che sociali. La sfida ora è superare gli ostacoli politici e culturali per riuscire a realizzare un cambiamento che rispecchi la realtà demografica e sociale dell’Italia.
Questo referendum è concepito proprio per venire incontro ai giovani, i quali (per assurdo) votano sempre meno. Cosa si può/deve fare per invertire la tendenza?
Per invertire la tendenza del calo della partecipazione giovanile al voto, è necessario adottare strategie che affrontino le radici di questa disaffezione. I giovani spesso si sentono distanti dalla politica tradizionale, percependo le istituzioni come poco rappresentative delle loro necessità e aspirazioni.
Ecco alcune misure che potrebbero contribuire a coinvolgerli di più nel processo politico:
- Educazione civica più coinvolgente: È fondamentale investire nell’educazione civica nelle scuole, non solo come materia teorica, ma come strumento per coinvolgere attivamente i giovani. Organizzare attività pratiche, simulazioni di dibattiti o esperienze dirette nelle istituzioni potrebbe stimolare una maggiore consapevolezza civica;
- Rendere la politica più vicina ai giovani: Le istituzioni devono fare uno sforzo per ascoltare di più le richieste dei giovani. Includere i giovani nei processi decisionali, creare spazi di dialogo e favorire la partecipazione nelle politiche pubbliche sono passi importanti. Inoltre, l’adozione di linguaggi e piattaforme più vicini alla cultura giovanile, come i social media, può migliorare l’interazione con loro;
- Abbassare la soglia dell’età per partecipare alle elezioni: Proposte come l’abbassamento dell’età per votare, in modo che i giovani possano esprimere il loro voto già prima dei 18 anni, potrebbero stimolare un maggiore interesse verso la politica sin da giovane età, creando una cultura della partecipazione duratura;
- Rendere il voto più accessibile: Incentivare modalità di voto più moderne, come il voto elettronico o il voto per posta, potrebbe favorire una maggiore partecipazione, specialmente tra i giovani, che tendono a essere più abituati all’uso della tecnologia;
- Promuovere l’informazione e la consapevolezza: Spesso i giovani non votano perché non si sentono informati o motivati. Campagne di sensibilizzazione mirate, che spieghino chiaramente l’importanza del voto e le conseguenze delle decisioni politiche sulle loro vite, potrebbero contribuire a far comprendere loro l’importanza di esercitare il diritto di voto.
In sintesi, per invertire la tendenza alla disaffezione giovanile, è necessario rendere la politica più accessibile, comprensibile e vicina ai giovani, attraverso un coinvolgimento attivo, l’uso di strumenti innovativi e una comunicazione più diretta e inclusiva, senza perdere mai di vista l’esempio di etica che la politica deve dare e che nel tempo si sta perdendo.
(a cura della Redazione)