Lo scorso 8 marzo, in occasione della Giornata internazionale della Donna, il Musée National de la Résistance et des Droits Humains ha inaugurato la mostra temporanea dal titolo: Résistance, Répression, Déportation (Resistenza. Repressione. Deportazione, ndr)
Realizzata in collaborazione con il Memoriale di Ravensbrück, l’esposizione racconta la storia di oltre 7.000 donne francesi e lussemburghesi deportate nel campo di concentramento di Ravensbrück durante la Seconda Guerra Mondiale. Attraverso documenti, oggetti storici e testimonianze, la mostra restituisce un volto e una voce a queste donne, spesso dimenticate dalla narrazione ufficiale della Resistenza.
Durante il vernissage, gli interventi hanno sottolineato l’importanza di preservare la memoria storica e riconoscere il ruolo fondamentale che le donne hanno avuto nella lotta contro il regime nazista.
In Lussemburgo, esiste un solo monumento dedicato esplicitamente alle donne della Resistenza: un piccolo memoriale nella comune di Schifflange, inaugurato nel 1979. La sua iscrizione recita: “In onore delle madri e delle donne che tra il 1940 e il 1944 hanno sofferto e lottato“.Questa dedica riflette una memoria collettiva che per lungo tempo ha relegato le resistenti al ruolo di madri e mogli, piuttosto che riconoscerle come combattenti attive contro il nazismo.
Le donne deportate
Tra il gennaio 1942 e il settembre 1944, circa 9.000 donne furono deportate dalla Francia per ragioni politiche. Di queste, circa 7.000 riuscirono a tornare in patria nel 1943. L’80% erano combattenti della Resistenza, ma molte altre furono perseguitate per motivi diversi, tra cui prostitute, criminali e lavoratrici costrette ai lavori forzati nelle fabbriche tedesche. Per la prima volta, questa mostra dà visibilità anche a queste vittime, spesso escluse dalla memoria collettiva perché considerate non patriottiche.
Oltre a raccontare le violenze subite, l’esposizione mette in luce la determinazione di queste donne nella lotta per la giustizia e la pace. In un periodo in cui partiti di estrema destra rimettono in discussione valori fondamentali come la democrazia, i diritti umani e lo Stato di diritto, questa mostra assume un’importanza cruciale: diventa un monito su ciò che può accadere quando odio, intolleranza e violenza diventano strumenti di governo.
La mostra
Per raccontare le loro storie, è stato scelto un approccio biografico e storico, con la selezione di 30 testimonianze organizzate in 15 temi cronologici, che strutturano la mostra in tre sezioni: prima della deportazione, la vita nei campi di concentramento, il ritorno e le conseguenze dopo la guerra.
Oltre a documenti originali, lettere e fotografie, la mostra offre un’esperienza immersiva con video, interviste, installazioni multimediali e disegni realizzati dalle deportate. A completare il percorso espositivo è stato organizzato un programma di eventi paralleli, tra cui conferenze, tavole rotonde, proiezioni cinematografiche e spettacoli teatrali, con l’obiettivo di approfondire il ruolo delle donne nella Resistenza e la loro eredità storica.
La mostra Résistance, Répression, Déportation fa parte del ciclo tematico Women in Conflict, che tra il 2025 e il 2026 esplorerà il ruolo delle donne nei conflitti passati e presenti e rimarrà aperta al pubblico fino al 15 settembre 2025.
Alla cerimonia inaugurale hanno preso parte:
● Elisabeth Hoffmann, storica del Musée National de la Résistance et des Droits Humains
● Pierre-Marc Knaff, avvocato e politico lussemburghese del Partito Democratico (DP)
● Carl Adalsteinsson, coordinatore generale presso il Ministero della Cultura
● Mechthild Gilzmer, docente di Romanistica presso l’Università del Saarland a Saarbrücken
Martina Patone