Ogni settimana una poetessa, un poeta, un profilo, una citazione sul suo intendere il modo di costruire le parole, la sua poesia.

Fernanda Pivano

Il 21 agosto 2009 si svolgevano a Genova, la città in cui era nata nel 1917 da una, secondo lei, famiglia “vittoriana”, i funerali di Fernanda Pivano, nella basilica di Santa Maria Assunta in Carignano, la stessa dove dieci anni prima con la partecipazione di tutta la città si erano svolti quelli del suo indimenticabile amico, Fabrizio De André. E’ sepolta nel cimitero monumentale di Staglieno accanto alla madre, Mary Smallwood, il cui padre Francis era stato fra i fondatori della Berlitz School italiana. Dopo il trasferimento della famiglia nel 1929 si era formata a Torino al Liceo Massimo d’Azeglio dove aveva come compagno di classe Primo Levi e insegnante supplente di italiano Cesare Pavese. Come accade nella vita di molti studenti è proprio il suo insegnante a segnare il suo destino portandogli quattro libri che saranno fondamentali per la scoperta della letteratura americana alla cui traduzione dedicherà grande parte della sua vita. Per la storia si tratta di Addio alle Armi di Hemingway, Foglie d’erba di Walt Whitman, l’autobiografia di Sherwood Anderson e l’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Master. Laureatasi in Lettere nel 1941 con una tesi sul Moby Dick di Herman Melville si impegna in una infaticabile attività di traduzione e di diffusione della letteratura americana in Italia, malvista dal regime nazifascista che finirà per arrestarla nel 1945 per la traduzione di Addio alle Armi di Ernest Hemingway,  opera considerata disfattista per la descrizione della rotta  italiana a Caporetto.

La sua opera di diffusione della letteratura americana in Italia è stata straordinaria, con la traduzione di Edgar Lee Master, Francis Scott Fitzgerald, Ernest Hemingway, William Faulkner, Henry Miller, Charles Bukowski. Ma anche “Nanda” svecchia il paludistico mondo letterario italiano facendo scoprire in Italia gli scrittori della Beat Generation americana. Quel gruppo di scrittori di rottura nato negli Anni ’50 a New York intorno alla Columbia University, ma poi esteso ad autori della West Coast di San Francisco. Jack Kerouac (come non ricordare la sua traduzione di On the Road?), Allen Ginsberg, William S.Burroughs,  Lean Cassady, Gregory Corso ma anche Joan Vollmer, Edie Parker, Lawrence Ferlinghetti. Ma nella sua vita di scrittrice e giornalista ha espresso anche un forte interesse e sostegno alla poesia beat italiana, animando la rivista Pianeta Fresco e sostenendo la crescita di giovani poeti come Gianni Milano e Antonio Infantino dalla sua abitazione di Via Manzoni, divenuta un cenacolo di giovani creativi. In seguito Nanda si avvicinerà alla sua seconda passione, la musica, cui si era dedicata in giovinezza diplomandosi nel 1940 in pianoforte al conservatorio di Torino allora diretto da Franco Alfano. Celebri i suoi articoli su Bob Dylan, la sua collaborazione negli Anni ’70 con la rivista “Musak” e infine il suo sodalizio artistico con Fabrizio De André. Il cantautore genovese in particolare per il suo album “Non al denaro, non all’amore, né al cielo” aveva tratto spuntiproprio dalla sua traduzione degli anni ’40 dell’Antologia di Spoon River. Di questo album Fernanda Pivano aveva curato l’intervista a De André che appariva nella seconda di copertina. A lui nel 1997 aveva anche consegnato il Premio Lunezia. Di lui diceva: “Si dice che Fabrizio sia il Dylan italiano, perché non dire che Dylan è il Fabrizio americano ?”

Loris Jacin

“Ero una ragazza quando ho letto la prima volta Spoon River: me l’aveva portata Cesare Pavese, una mattina che gli avevo chiesto che differenza c’era tra la letteratura americana e quella inglese. “

“Pavese voleva che leggessi Addio alle armi per farmi capire la differenza…Gli altri libri che mi lasciò quella sera con questa intenzione furono l’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, l’Autobiografia di Sherwood Anderson e i Fili d’erba di Walt Whitman.”

“Era superproibito quel libro (l’’Antologia di Spoon River ndr) in Italia. Parlava della pace, contro la guerra, contro il capitalismo, contro in generale tutta la carica del convenzionalismo. Era tutto quello che il governo non ci permetteva di pensare …e mi hanno messo in prigione e sono molto contenta di averlo fatto

Scrive su Hemingway, uno dei grandi autori da lei tradotti:

“Mi prese per mano, mi condusse alla sua tavola, mi fece sedere accanto a sé e mi disse in quel suo bisbiglio cosi’ difficile da capire finché non ci si era abituati :” Raccontami dei Nazi”. Fu l’inizio di un’amicizia che non fini’ mai, perché la mia devozione continuo’ anche dopo la sua morte”

“Ernest Hemingway, pochi giorni prima di spararsi in bocca, mi aveva chiamata e mi aveva detto: “Non posso piu’ bere, non posso piu’ mangiare, non posso piu’ andare a caccia, non posso piu’ fare l’amore. Non posso piu’ scrivere”. La morte di cui Hemingway aveva condensato la tragedia della sua vita e aveva fatto visualizzare i molti piccoli preavvisi, le impalpabili previsioni, a chi lo aveva conosciuto; ma il dolore, l’orrore, lo spavento per il vuoto in cui ci aveva gettato ci aveva colti lo stesso di sorpresa”.

Su Whitman scrive:

“Centocinquant’anni sono passati da quando questo ragazzaccio scamiciato, col cappello da cow-boy, fascinoso di un’ambigua bellezza, giornalista e tipografo, figlio di un falegname, detestato dai professori e adorato dai ragazzi del suo tempo, capace di abbracciare tutti e di lasciarsi abbracciare da tutti, ricco di un vibrante ritmo americano, diretto e sincero, capace di affrontare il problema della situazione del Nuovo mondo, ha pubblicato a sue spese un libretto piccolino chiamandolo Leaves of Grass (Foglie d’erba) . Questo ragazzaccio, capace in una ventina d’anni di diventare il poeta piu’ importante della letteratura americana di tutti i tempi, quel suo po’ di educazione rudimentale l’ha ricevuta nei sei anni che ha frequentato la scuola pubblica, cominciando nel 1825 e finendo a undici anni, quando si è impiegato come fattorino in un ufficio di avvocati”

Dopo gli attentati dell’11 settembre:

“Con molto dolore per i morti e per la tragedia devo dichiararmi perdente e sconfitta perché ho lavorato 70 anni scrivendo esclusivamente in onore e in amore della non violenza e vedo il pianeta cosparso di sangue”

(INTRODUZIONE A “BEAT HIPPIE YIPPIE”)

“Questo libro, dolcissimo libro di sogni, di utopie, di dubbiose speranze, è nato nel 1977, è stato ristampato nel 1990, ha avuto una melanconica prefazione nel 1996; e ora viene riproposto ai giovani nuovi, magari già figli dei giovani di allora, con le utopie e le speranze diventate ricordi, le intemperanze e le contestazioni diventate impegno nel non-impegno, il Moratorium Day e la pornografia della violenza diventati simboli di sconfitte che non si vorrebbero accettare senza speranza. Gli eroi di quei sogni sono quasi tutti ammutoliti nel destino, fotografie tragiche per ricordarli a chi riuscisse a dimenticarli, Allen Ginsberg al telefono a chiedere perdono mezz’ora prima di morire, Gregory Corso svenuto su di lui morente dopo aver gridato piangendo “Don’t go” mentre i monaci buddhisti invocavano col Bardo Thodol che si avviasse verso l’eternità, Jack Kerouac divorato dal suo veleno forse ancora aspettando che “Dio gli mostrasse il suo volto”, Neal Cassady muto per sempre sulle rotaie del suo treno di frenatore, William Burroughs lontano dal suo Sud e dal suo Est, ignorando la sua nuova realtà, chissà se avrà visto per ultimo i suoi rosei efebi impiccati nudi nella pelle dorata del crepuscolo, Richard Brautigan senza più mitra consolatore, Philip Whalen accolto nel suo paradiso di parroco-zen, Jan Kerouac troppo bella per essere vera nell’orrore dell’eternità, la moglie troppo patriota senza più ragioni per vivere, tutti immersi nel silenzio immortale della realtà ignara di sogni. I sogni li avete portati con voi, quei sogni fuori del tempo e dello spazio, che entrando adolescenti all’Università avete chiamato New Vision, e Kerouac li inventava, e Ginsberg li diffondeva, e i giovani li vivevano, e i giornali li divoravano e giocavano a chiamarli Beat, oh dolcissimi amici, mi avete proibito per quattro anni di usare questa parola, poi chissà cos’è successo, mi avete telefonato: “That’s okay go ahead”, e i vostri sogni sono entrati nel mondo. Sono entrati nel mondo insieme per sempre alla vostra memoria, tutti insieme, tutto in questi ultimi anni, troppo in fretta per poter impedire con le poesie e le parole e gli esempi – coi sogni, coi sogni, coi sogni – la guerra aborrita, le violenze aborrite, gli orrori aborriti, oh, amici dolcissimi, cosa avreste fatto per impedirle, per ricondurre i governi di tutto il mondo alle ragioni dell’anima, lontano dalle ragioni della violenza. Non so che cosa, ma qualcosa avreste fatto, voi che eravate diventati i guru del mondo civile: forse avete cercato di dirmelo dalle vostre lapidi mute, dai vostri bei visi muti in fotografie senza più speranze, con le vostre poesie che avete lasciato mute senza poterle finire. E allora, diteci cosa possiamo fare con le poesie che ci avete lasciato, coi ricordi che ci avete lasciato, con le parole che ci avete lasciato al telefono mezz’ora prima del silenzio, al telefono dal vostro ultimo letto, al telefono dai vostri ultimi respiri. Amici dolcissimi, vi proteggano gli dei di tutti i tempi, di tutti i Paesi; e vi proteggano con voi i vostri sogni di non violenza e di pace….”

(INTRODUZIONE A “HEMINGWAY”)

“1961 Funerali. La mattina di giovedì 6 luglio 1961 il minuscolo centro montano di Ketchum nello Idaho fu sconvolto da una confusione che non aveva niente a che fare col solito afflusso turistico. Quattro giorni prima, la domenica 2 luglio all’alba, si era ucciso Hemingway e da tutte le parti del mondo il 6 luglio arrivarono amici, giornalisti e curiosi che andavano a salutarlo per l’ultima volta. La vedova Mary disse alla stampa che era stato un incidente: soltanto nel 1966 ammise il suicidio in un’intervista del 6 settembre su Look di Oriana Fallaci.

Quando la vidi a Venezia mi disse di aver vissuto per anni come nel buio di un lungo tunnel e mi raccontò che Hemingway era riuscito a entrare nella cantina dove lei aveva nascosto tutti i fucili, aveva preso un fucile a due canne che aveva usato per anni nel tiro al piccione, aveva scelto qualche cartuccia, aveva richiuso a chiave la porta, aveva attraversato la stanza di soggiorno, aveva posato il fucile per terra e si era sparato la doppia cartuccia nella fronte. Il soffitto venne cosparso di lembi della sua testa. Indossava una vestaglia rossa e il lago di sangue nel quale precipitò la rese più rossa. I visitatori del 6 luglio non la videro: la videro soltanto Mary, crollando nel disastro, e il dottor George Xaviers che lo curava lì a Ketchum. Da lontano arrivarono i figli e i parenti, Patrick (Mouse) dall’Africa, John/Jack (Bumby) dallo Oregon, Gregory (Gigi) da Miami (racconta Gregory che i tre fratelli si riunirono in quell’occasione per la prima volta dal 1941 quando erano andati a pesca col padre in Montana), il fratello Leicester da Florida Keys, le sorelle Marcelline da Detroit, Ursula da Honolulu, Madelaine dal Michigan, Carol da Long Island. Racconta il fratello Leicester che la mattina del 6 luglio erano arrivati “tutti”. Pochissimi poterono assistere al funerale: perfino dei dodici portatori onorari della bara furono ammessi alla cerimonia cattolica soltanto sei. Per entrare nel cimitero bisognava avere un biglietto di invito: chi non lo aveva rimase fuori pigiandosi davanti all’ingresso. Alla tomba, vicina a quella di Taylor Williams detto Beartracks, antico compagno che aveva insegnato a Hemingway la caccia all’orso ed era stato sepolto due anni prima sulla collina verdeggiante, si avvicinò Mary vestita di nero e scortata dai tre figli del marito e prima di sedere si fece il segno della croce; poco dopo arrivò padre Robert J. Waldmann con due chierichetti e mentre risuonava la voce di un telecronista cominciò il servizio in latino passando all’inglese per leggere i primi versetti del primo libro dell’Ecclesiaste: Mary aveva fatto al sacerdote questa richiesta perché voleva sentir pronunciare il passo “Il sole sorge ancora” che aveva dato titolo al libro famoso, ma il padre lo saltò. Mary si indignò e, raccontò poi, pensò per un attimo di interrompere la cerimonia. Invece la cerimonia continuò: continuò anche quando uno dei due chierichetti svenne per l’emozione cadendo sulla grande croce di fiori bianchi che copriva la bara. Vennero pronunciate tre Ave Maria e tre Paternoster, poi la bara fu coperta di bronzo e calata nella tomba. Da quel momento il ricordo di Hemingway venne affidato ai libri che ha scritto e alla memoria di chi gli ha voluto bene….”

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