Tormentone The Kolors, Annalisa sanremese, Fiorella Mannoia elegante, Loredana Berté sorprendente

Tra poche ore partirà la settantaquattresima edizione del Festival di Sanremo, il quinto dell’era Amadeus – che giocando sulla radice del suo nome e per sottolineare che ancora per questa volta – e poi chissà – il Festival è proprio suo, non ha potuto fare a meno di scegliere lo slogan “Sanremo si ama” con manifesti che tappezzano tutta la città.

Ieri abbiamo assistito alle prove generali “fiume” delle trenta canzoni in gara – forse troppe, visto che di alcune ne avremmo fatto volentieri a meno. Tra le esibizioni che ci hanno meno convinto quelle di Sangiovanni, Fred De Palma, Alfa e La Sad, questi ultimi troppo costruiti e con messaggi scarsamente intellegibili.

Ci hanno sorpreso, invece, positivamente i Ricchi e Poveri che hanno un pezzo ottimamente arrangiato che riporta indietro nel tempo e che fa ballare. D’Argen D’amico ha un’energia travolgente e racconta un tema difficile trasportando chi ascolta proprio dentro quell’Onda alta da arginare. Alessandra Amoroso, un po’ intimista un po’ guerriera, ha una voce che già da sola ambisce a voti alti. Emma ha un brano molto radiofonico che scalerà la classifica. Annalisa ha un pezzo che resta in testa che diventerà il brano più ascoltato in radio. Diodato fa il Diodato, con la malinconia struggente che lo contraddistingue, ha fatto di meglio. I tre ragazzi de Il Volo sono un po’ meno tenori e un po’ più pop, sicuramente troveranno il consenso del pubblico. Tra i giovani Maninni è quello che canta meglio ma il testo è poco originale e potrebbe essere stato presentato anche al Festival di venti anni fa. Gazzelle trascina nell’ascolto con le sue note verso la fuga da Roma nord, il più emozionato di tutti. Geolier porta sul palco Napoli e la sua musicalità. Ha il coraggio degli scugnizzi e si fa apprezzare per questo. Angelina Mango ha un’energia travolgente. E’ sicuramente la voce più bella delle nuove generazioni. Buon Dna non mente. I Negramaro sono, si sa, la voce di Giuliano Sangiorgi ma il pezzo con l’orchestra e i giochi di luce della scenografia acquista molti punti, comunque non da podio. Mahmood meno “brividi” e più “soldi” ma il suo sound resta tanto in testa. Irama ha una canzone classica e struggente che piacerà al suo pubblico. Anche Mr. Rain riproduce il mood che tanto successo ha avuto lo scorso anno. Ma il pezzo è meno forte e sa un po’ troppo di cartone Disney. Per quanto riguarda Nek e Renga, due voci come le loro, sono davvero troppo per una canzone che passa totalmente indifferente. Ghali gioca con i colori – anche della scenografia – e dialogo con un alieno. Un po’ inquietante. Tanti punti, invece, per Il Tre, che porta sul palco dell’Ariston la fragilità, tema importante e anche difficile da affrontare. Apprezzatissimo.

C’è poi tutto un gruppone di buone esibizioni che però, almeno al primo ascolto, non lasciano grande spazio per un’idea di classifica alta: sono Clara, Big Mama, Rose Villain, Bnrk44, Santi Francesi.

Un capitolo a parte meritano due grandissime signore della canzone italiana come Fiorella Mannoia e Loredana Berté. La prima canta le donne con decisione, forza e anche tenerezza, con un pezzo che ricorda un po’ De Andrè e un po’ le pagine di Eduardo Galeano. La cumbia messicana fa librare la sua Mariposa con orgoglio e leggerezza. Fuoriclasse. Loredana Bertè si esibisce per ultima. Canta Pazza e fa impazzire l’Ariston, che le tributa una meritatissima standing ovation. Una versione matura 2.0 di Non sono una signora che la porterà in alto, molto in alto.

Gilda Luzzi

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