Dopo le recenti elezioni in Uzbekistan illustriamo la presente congiuntura dei cinque Paesi “istan”, Turkmenistan, Uzbekistan, Tagikistan, Kirghizistan, Kazakistan

Source: University of Texas, Perry Castaneda Library Map Collection – Courtesy of the Un. of Texas Libraries, The University of Texas at Austin

La guerra in Ucraina mette in discussione anche la sicurezza di una vasta zona cuscinetto costituita da cinque diversi paesi di Asia centrale, disposta lungo il fianco-sudovest della Federazione Russa, ma confinante anche con la Cina, il Pakistan, l’Afghanistan, l’Iran e il Mar Caspio, con dei rischi evolutivi che si aggiungono a quelli dell’instabilità ragionale conseguente all’abbandono totale da parte occidentale dell’Afghanistan al controllo talebano dall’agosto 2021.

Si tratta di cinque paesi, gli “istan”, Turkmenistan, Uzbekistan, Tagikistan, Kirghizistan, Kazakistan, cinque repubbliche che secondo l’amministrazione dell’epoca sovietica facevano parte della “Muftiyya d’Asia centrale e del Kazakistan” con sede prima a Ufa, poi a Orenburg, infine a Tachkent.

In realtà durante l’espansione verso l’Asia centrale, la logica delll’URSS nel periodo staliniano, durante la prima metà del secolo scorso, era stata quella della “fabbricazione delle nazioni”. In un vastissimo territorio, dove i movimenti delle popolazioni islamizzate, spesso nomadi, di origine soprattutto turca e persiana si riferivano a gruppi di solidarietà che ignoravano la struttura dello stato-nazione e riservavano l’adesione ad un gruppo (famiglia, clan, tribu’) oltre alla fedeltà ad un capo riconosciuto, i rischi di una perdita del controllo russo riguardavano l’affermazione possibile di ideologie panislamiste e panturchiste, fondate cioè sul ricorso al riferimento religioso o etnico. La risposta era stata il frazionamento basato sul concetto di “nazionalità (nationalnost). Cioè il riferimento obbligatorio delle nuove repubbliche ad una nazionalità titolare (uzbeca, turkmena, kazaca etc.) definita come comunità etnica, dotata uniformemente di una lingua, un territorio, una bandiera, un istituto delle scienze. In altri termini, la fabbrica delle nazioni staliniana aveva separato in modo assurdo le intrecciate famiglie etno-linguistiche (foto) secondo un processo che si era svolto fra il 1924 e il 1936. Ne erano originate le repubbliche socialiste sovietiche di Turkmenistan, Uzbekistan, Kirghizistan, Kazakistan, Tagikistan, Caracalpachia, quest’ultima sino al 1934 rimasta parte della Repubblica Federativa Russa (RSF). Allo stesso modo erano nate nel 1936 nel Caucaso le Repubbliche sovietiche di Georgia, Armenia, Azerbaigian. 


Le etnie principali in Asia Centrale
Source: University of Texas, Perry Castaneda Library Map Collection – Courtesy of the Un. of Texas Libraries, The University of Texas at Austin

Con la frantumazione dell’URSS nel 1991, all’inizio delle loro indipendenze la situazione di queste repubbliche era del tutto simile a quella di tutte le altre già appartenenti all’URSS. Queste, se avevano potuto approfittare di tutti i vantaggi sociali ed economici offerti dal sistema sovietico (in particolare un alto livello di istruzione e di protezione sociale) erano state d’altra parte obbligate ad una gestione delle attività economiche secondo il rigido schema di pianificazione centralizzata imposta dal sistema dirigista sovietico.

Se certe repubbliche, come l’Uzbekistan e il Turkmenistan, erano state convertite essenzialmente nel quadro dell’URSS in monoculture cotoniere con conseguenti notevoli danni ambientali, altre, prive di risorse minerarie, sopravvivevano grazie a delle attività agricole e, in misura minore, anche industriali rigidamente inquadrate dalla struttura delle fattorie e fabbriche collettive (kolkhoz e sovkhov).

(www.englishrussia.com)

Altre ancora, come il Turkmenistan e il Kazakistan, dotate di risorse minerarie, in particolare petrolifere, producevano gas e petrolio destinati esclusivamente ad alimentare le reti di gasdotti  ed oleodotti russi.

Dopo l’indipendenza, se il Turkmenistan doveva presto scoprire di essere dotato delle quarte riserve di gas del mondo, ancora piu’ vario era il panorama offerto dal Kazakistan. Meta principale dell’espansione russa in epoca zarista – le tre “Orde” Qazaq (o fuggitive), frutto del frazionamento dell’originale Orda d’Oro turco-mongola avendo già dal XVIII secolo domandato la protezione della Russia contro la pressione degli Uirati – il Kazakistan aveva formato oggetto di ondate successive di colonizzazione di Cosacchi, Russi, Ucraini. Localizzati nella parte settentrionale del paese, i coloni avevano visto poi i loro ranghi rinforzarsi durante la seconda guerra mondiale, con lo spostamento in Kazakistan di parte dell’industria pesante russa presa sotto il fuoco della Luftwaffe e negli anni ’50 con la politica delle “terre vergini” lanciata da Kruscev. Il frutto di queste immigrazioni storiche era stata la singolare composizione demografica del paese che il primo presidente, Nursultan Nazerbayev, già segretario del partito comunista kazako, aveva dovuto affrontare nel 1991 con un 41% di residenti russi contro il solo 37% di kazachi. Oltre al Kazakistan una situazione di disomogeneità etnica riguardava anche Tagikistan, Kirghizistan e, in misura minore, l’Uzbekistan (69% di Uzbechi). Solo il Turkmenistan formava un paese etnicamente omogeneo: gli Oğhuz turcofoni di religione sciita (alevi) arrivati nella Transoxiana nell’VIII secolo dal lago di Aral costituivano il 90% della popolazione con i due gruppi tribali principali, gli Yomut e i Tekke. Oltre ai 1,5 milioni di turkmeni che abitavano in Afghanistan, al di là della frontiera meridionale segnata dal corso del lungo fiume Amu Darja. Il mosaico etnico della macroregione creava in particolare in Tagikistan e Kirghizistan delle difficoltà politiche a causa delle frizioni della maggioranza tagica/kirghisa con le forti minoranze uzbeche presenti in ambo le repubbliche. Ancora, se l’Uzbekistan aveva sempre costituito il fulcro del dominio russo in Asia centrale e costituiva anche il paese più popoloso della regione con il 60% della popolazione globale, Tagikistan e Kirghizistan erano i due paesi di Asia centrale destinati a soffrire maggiormente della sconnessione con il sistema sovietico. Dei due paesi poi il Tagikistan persanofono presentava le prospettive peggiori, in parte per la sua storia (l’amputazione staliniana del suo territorio con passaggio all’Uzbekistan delle zone urbane di antica cultura della valle di Ferghana), la sua conformazione montagnosa con il Pamir che occupa il 93% della superficie e la forte frammentazione etnica fra gruppi tagiki, pamiri e uzbechi. Il Kirghizistan limitrofo del Xinjiang cinese disponeva almeno del “castello acquifero” di Asia centrale, raccolta della discesa delle acque dalle catene delle Montagne Celesti (Tian Shan) e dell’Alatau, oltre che di importanti risorse di oro e di complessi industriali situati nella del resto fertile valle di Ferghana. Su tutti i paesi della macroregione pesava poi la situazione di mancanza di sbocchi al mare, di situazione enclavée.

Sulla macroregione abbiamo visto dopo le indipendenze esercitarsi la concorrenza di tre regional player, gli Stati Uniti, la Russia e la Cina. L’interesse americano è stato essenzialmente militare dopo il 2001 e si è rinforzato dopo l’invasione dell’Afghanistan e la constatazione della inattesa insorgenza talebana. Si è concretizzato nella creazione di due basi militari In Uzbekistan, considerato anche dagli americani il paese cardine della regione, e in Kirghizistan, paese confinante con la Cina. Se la base di Karshi Khanabad in Uzbekistan è stata chiusa dopo la soppressione sanguinosa da parte del presidente uzbeco Islam Karimov di una manifestazione popolare ad Andijan nel 2005, la base di Manas, vicino a Bichkek, in Kirghizistan, paese limitrofo alla Cina, è sempre operativa. La sua locazione costituisce insieme alle esportazioni d’oro dalla miniera di Kumtor la più  grande entrata del paese. Comunque l’abbandono dell’Afghanistan nel 2021, conseguenza della concentrazione degli interessi americani verso l’Indo-Pacifico, non contribuisce ad un maggior interesse verso l’l’Asia centrale, nonostante i rischi di infiltrazione di movimenti jihadisti ancora attivi nella regione, che potrebbero trovare nel nuovo santuario talebano afghano un terreno di riferimento.

Quanto alla Russia, come abbiamo osservato in altra sede, la Federazione nel periodo successivo al 1990 non disponeva più dei mezzi economici necessari per mantenere un ruolo di riferimento per le 15 ex-repubbliche dell’URSS che hanno poi scelto l’indipendenza. Poteva solo cercare di tenerle riunite intorno à sé in una Comunità degli Stati indipendenti (CSI) per farne una futura zona di libero scambio. Ottenuta l’adesione di nove paesi alla CSI, la Russia ha poi mantenuto in certi paesi un corpo di spedizione russo (Tagikistan) o delle basi militari, come in Kirghizistan o nelle repubbliche separatiste georgiane. Per quanto riguarda l’Asia centrale la Federazione è stata protagonista di tre intese multilaterali che riguardano questa area. Nell’accordo di Bialovesa (Minsk) costituente la CSI figurano dal 1991 tutti i paesi esaminati tranne il Turkmenistan che, per la sua tradizionale politica di “neutralità multivettoriale”, è divenuto membro associato solo nel 2005. Gli stessi quattro paesi (Kazakistan, Uzbekistan, Kirghizistan, Tagikistan) sono membri sia dell’ OTSC ( Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (OTSC), trattato militare concepito dalla Federazione Russa nel 1991, sia dell’UEE (Unione Economica Euroasiatica) intesa doganale introdotta nel 2015, che vede membri anche Bielorussia ed Armenia, nonché dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (OCS), organismo intergovernativo creato nel 2001, esteso alla partecipazione di Cina, India, Pakistan, Russia oltre ai quattro citati paesi di Asia centrale avente ad oggetto la sicurezza ma anche la cooperazione economica e culturale.

Ai due regional player tradizionali si è aggiunta più di recente la Cina. Emancipatasi dal ruolo subordinato di “fabbrica del mondo” di “regno del made by foreigner in China” assegnatale dagli Anni ’70 dagli Stati Uniti d’America, la Cina nel 2013 ha lanciato in Kazakistan il programma di “Nuove Vie della Seta”, l’iniziativa OBOR-(Sichou Zhi Lu)  poi denominata Belt and Road Initiative (BRI). Un programma che concerne anche i paesi di Asia centrale per il suo volet continentale in cui si individuano i cinque paesi di Asia centrale come paesi di produzione e di transito. Ricordando l’antica via della seta scoperta nel II secolo a partire da X’ian dall’imperatore Wu Di durante il regno degli Han anteriori, questa iniziativa vuole collegare la Cina con l’Europa anche attraverso l’Asia centrale con uno dei tre modi di trasporto previsti (continentale, ferroviario, marittimo). Nel frattempo il ruolo della Cina nella regione è diventato molto rilevante. Divenuta il primo paese importatore del gas e del petrolio kazaco con il 25% la Cina si è anche distinta per il livello dei suoi investimenti in Tagikistan e Kirghizistan, paesi poveri di risorse minerali ma ricchi di acque. Le prospettive aperte dagli investimenti cinesi nel quadro del BRI fanno pero’ anche pesare sui due paesi piu’ poveri della regione il rischio di una accentuata dipendenza finanziaria dalla Cina data la rilevanza delle linee di prestito cinesi.

Dal 2022 “l’operazione militare speciale” cioè la guerra in Ucraina sembra aver indebolito la posizione della Russia nella ragione a vantaggio della Cina. Il vertice dei paesi di Asia centrale nel maggio scorso convocato da Xi Jinping nell’antica capitale di X’ian, mitica capitale di partenza dell’antica via della seta, si è svolto senza la presenza di Vladimir Putin. Ma il fronte centro-asiatico non presenta un profilo uniforme. Si puo’ notare cosi delle posizioni diverse fra i cinque paesi rispetto alla situazione ucraina. Questo si rispecchia anche nelle attitudini ufficiali. Il presidente del Tagikistan, Emomali Rahmon, leader di un paese in cui è stanziato ancora un contingente militare russo dopo l’intervento che ha messo fine nel 1997 ad un sanguinosa guerra civile durata cinque anni, era il 9 maggio accanto a Putin nella grande parata che ricordava  la “grande guerra patriottica” combattuta dalla Russia contro la Germania nazista. Ufficialmente per il Tagikistan “non esiste alcuna guerra in Ucraina”. Il Turkmenistan che, grazie alle sue ricchezze minerali, non è dipendente da Mosca e ha scelto la citata neutralità multivettoriale nella sua politica estera mantiene un’attitudine prudente anche in sede NATO. Nella votazione ONU contro la Russia richiedente dopo l’invasione dell’Ucraina una sua sospensione dal Consiglio dei Diritti Umani è stato l’unico paese di Asia centrale che si sia astenuto, mentre tutti gli altri quattro paesi hanno votato contro la risoluzione. In senso opposto, il Presidente del Kirghizistan Sadyr Japarov ha definito l’aggressione russa “una situazione difficile” e “ una tappa necessaria per i Russi per la protezione della minoranza russofona del Donbass”. Questo, nonostante che il governo kirghiso rimproveri alla Russia il suo il mancato appoggio in occasione di un recente conflitto territoriale con il Tagikistan. Oltre agli invii umanitari in Ucraina dell’Uzbekistan, il caso più  eclatante lo fornisce il Kazakistan. Il Kazakistan ha conosciuto nel gennaio 2022 delle importanti manifestazioni ad Aktau e nella vecchia capitale Almaty, apparentemente dovute all’aumento del prezzo dei carburanti, ma concretamente ascrivibili al conflitto con i seguaci del presidente precedente, Nursultan Nazerbayev, con il cui nome è stata del resto  ribattezzata di recente la capitale Akmolla.

Il presidente Kassym-Jomart Tokaev aveva chiesto l’intervento della OTSC di cui la Russia è il principale membro. Questo non ha impedito al governo kazaco di installare sul luogo di massacro di Butcha in Ucraina delle yurte per offrire un sostegno alle popolazioni. Forte del sostegno della Cina e meno dipendente dalla Russia degli altri paesi, il Kazakistan dal marzo 2022 invia a Kiev delle tonnellate di aiuto umanitario e ha dichiarato che non riconoscerà l’indipendenza delle repubbliche autoproclamate di Lugansk e Donetsk. Se, quindi, i legami storici con la Russia sembrano essere in parte rimessi in discussione anche dallo svolgimento complesso dell’operazione militare speciale, la macroregione sembra essere definitivamente rientrata nella grande diplomazia “transitoriale” cinese. Come grande cliente del Kazakistan, come grande investitore in Tagikistan e Kirghizistan nel quadro dell’iniziativa delle vie della seta. Del resto, a causa delle sanzioni contro la Russia e della guerra in Ucraina, le rotte continentali della BRI che prima attraversavano Russia e Ucraina (con il ramo ferroviario che arrivava sino a Dudelange da Duisburg) debbono essere sostituite con delle rotte di attraversamento dell’’Asia centrale e della Turchia verso l’Europa. Così anche in Asia centrale la guerra in Ucraina sembra ormai creare le condizioni per “un altro mondo”, con un rischio nuovo di confronti fra i paesi NATO (i paesi occidentali) ed un avversario in parte imprevisto, costituito nel tradizionale blocco siro-irano-russo-cinese  da un processo di ravvicinamento accelerato della Russia alla Cina . Questa nuova situazione potrebbe influenzare anche la situazione degli altri paesi appartenenti ai  BRICS, che costituiscono i tre quarti della popolazione del pianeta.

Mentre – sia detto con rimpianto – gli Europei in questo contesto sono ormai ridotti a contare per il solo 8% della popolazione mondiale quando due secoli fa ne costituivano il quarto. La Cina del resto è di recente già uscita dal suo quadrante tradizionale di influenza sud-est asiatico. Dopo che anche dal Medio Oriente si sono allontanati i tradizionali regional partner americani, la Cina ha svolto di recente un riuscito ruolo di mediazione fra i due acerrimi nemici costituiti da Iran e Arabia Saudita. Membri di una Lega Araba che ha reintegrato di recente la Siria di Bachar Assad, ma anche invitato Vladimir Zelensky. Una isolata buona notizia, cui fa da corollario la probabile soluzione della tragica guerra in Yemen che sinora ha visto una guerra per procura, una proxy war fra Emirati Arabi Uniti, Arabia saudita schierati contro la Repubblica islamica d’Iran che a sua volta vede in rivolta la sua popolazione dopo l’uccisione poliziesca di Mahsa Amini a Teheran. Ma di questo parleremo un’altra volta….

Carlo degli Abbati

Encadrè I cinque paesi di Asia centrale presentano una conformazione molto varia che va da zone desertiche in Turkmenistan (Karakum) alla piu’ estesa steppa al mondo in Kazakistan (805.000 km2) sino alle propaggini himalayane di Tagikistan e Kirghizistan (Pamir, Tian Shan, Alatau). Varia anche la superficie con il Kazakistan che con la sua enorme estensione (2,724 milioni km2) preme da nord sugli altri quattro paesi, il Turkmenistan (491.210 km2), l’Uzbekistan ( 444.103), il Tagikistan (143.100) , il Kirghizistan (199.945). Diseguale anche la distribuzione della popolazione con 34,08 Mio ab.in Uzbekistan, 19,196 in Kazakistan, 9,750 in Tagikistan, 6,527 in Kirghizistan e 6,341 in Turkmenistan. L’eredità sovietica ha lasciato nella regione un alto livello di istruzione e di alfabetizzazione con una scolarità effettiva molto elevata che va dal 11,3 di Turkmenistan e Tagikistan sino ai 12,3 anni del Kazakistan. La fecondità è generalmente elevata, variando fra il 2,7 figli per donna del Kazakistan sino ai 3,3 del Tagikistan. Molto vari invece gli indici di mortalità infantile che vanno dal minimo dell’8,9 X 1000 del Kazakistan sino al 40,6 del Turkmenistan. La speranza di vita alla nascita resta compresa fra i 71,6 anni del Tagikistan e i 69,3 anni del Turkmenistan. L’investimento in educazione in % del PIL con dati non sempre aggiornati varia dal 2,8% del Kazakistan (2018) al 3% del Turkmenistan (2012) sino al 6% del Kirghizistan (2017), mentre la percentuale della spesa per la salute va da un minimo dell’1,5 % (2017) del Turkmenistan , all’1,9% del Tagikistan (2017) al 2,1% del Tagikistan (2017),  al 2,3% dell’Uzbekistan (2018) e al 2,8% del Kirghizistan (2018). Il PIL pro-capite è distribuito fra i cinque paesi in modo molto diseguale date le differenze delle condizioni economiche. Nel 2021 il Tagikistan, paese che figura nelle statistiche del PNUD a Medio Sviluppo Umano (MHDI) raggiungeva i 4.548 USD pro-capite (in USD PPP 2017), in effettivo circa 900 USD. Il Kirghizistan anch’esso classificato come MHDI con un reddito pro-capite appena più alto di 4.566, saliva però in effettivo a ca. 1.300 USD. Quanto ai due paesi classificati dal PNUD ad Alto Sviluppo Umano (HHDI), il Turkmenistan raggiungeva i 13.021 USD (in USD PPP 20017), l’Uzbekistan i 7.917 USD. In testa alle classifiche del reddito risulta il Kazakistan, unico paese di Asia centrale classificato dal PNUD come Very High Human Development Country ( VHHDI) con un reddito pro-capite in USD (PPP 2017) di 23.943 USD, che in effettivo arriva a ca. 9.200 USD, dieci volte quello del Tagikistan.

Nelle graduatorie del PNUD sui 191 paesi censiti il Kazakistan occupa il 56° seguito da Turkmenistan (91°), Uzbekistan (101°), Kirghizistan (118°) e Tagikistan (122°). Infine è interessante osservare al riguardo che l’indice di GINI indicativo della distribuzione interna della ricchezza, non più comunicato dal Turkmenistan dal 1998 risulta, secondo i dati della Banca Mondiale, del 0,341 nel  Kirghizistan  e nel Tagikistan (2015) , del 0,353 (2003) in Uzbekistan, del 0,278 nel Kazakistan  (2018). Nei quattro paesi questo indicherebbe una ridotta ineguaglianza distributiva. A titolo di esempio sempre secondo la stessa fonte il coefficiente di GINI nel 2020 è stato per Francia, Italia e Lussemburgo, rispettivamente di 0,307,  0,352,  0,334.

Bibliografia consigliata

Pierguglielmo TORRI ed alii (ed.), Asia Maior, Viella, Roma, (varie annate)

Golden B. PETER, Central Asia in World History, Oxford Un.Press, Londra, 2011

Carlo DEGLI ABBATI, L’Asie centrale. Histoire, Economie, Permanence. Du monde perdu d’Alexandre aux nouvelles routes de la soie, L’Harmattan, Parigi, 2021

Jean e André SELLIER, Atlante dei Popoli d’Oriente (cap.Asia centrale), Il Ponte editore, Firenze, 2010

*Carlo degli Abbati insegna Diritto dell’Unione Europea al Dip. di Lingue e Culture Moderne dell’Università degli Studi di Genova. Già docente di Economia dello Sviluppo presso lo stesso Ateneo e di Storia dei Paesi musulmani al Dip. di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento è stato funzionario responsabile del controllo della cooperazione europea allo sviluppo presso la Corte dei Conti Europea a Lussemburgo.

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