In questo tempo “sospeso” di quarantena forzata per l’emergenza coronavirus abbiamo spesso parlato di eroi. Eroi i medici che si sfiancano in ospedali che trasudano dolore e morte. Eroi gli infermieri dai turni inesauribili e gli stipendi ridicoli. Eroi gli operatori socio-sanitari che il più delle volte si sostituiscono alle famiglie lontane in un abbraccio di conforto. Eroi i pochi, ma fondamentali volontari, che continuano a portare cibo ai senzatetto. E poi eroi i camionisti che riforniscono le nostre tavole, le cassiere dei supermercati che affrontano la paura del contagio tutti i giorni, il personale addetto alle pulizie, gli uomini e le donne della Protezione Civile e della Croce Rossa.

Tuttavia, prima, molto prima della pandemia, c’erano già degli eroi, silenziosi e poco avvezzi alla ribalta, che tutte le mattine alzando la loro serranda sapevano di essere proprio come i personaggi raccontati nei libri.

Questi eroi sconosciuti e poco valorizzati sono i titolari delle librerie indipendenti. Quelli che hanno resistito, proprio come i loro beniamini, a burrasche economiche e ai tentativi di spazzare via tutto che le grandi catene hanno messo in atto negli ultimi decenni. E loro lì, sulla piccola scialuppa di salvataggio, remano e faticano per arrivare alla riva e per resistere ai danni provocati da correnti impervie, che mettono ogni giorno a repentaglio la loro capacità di sopravvivenza. Anche chi scrive ha cullato il sogno di rilevare una libreria, sogno svanito dall’analisi di freddi numeri che decretavano un bilancio irrimediabilmente in passivo.

Pochi giorni fa il presidente del Consiglio dei ministri Giuseppe Conte, forse ritenendo che davvero i librai siano degli eroi, ha decretato, inaspettatamente, la riapertura delle librerie. A parer nostro, considerare il libraio alla stregua di un qualsiasi altro imprenditore è stato un grande errore di valutazione. La libreria non è un luogo che si può visitare come fosse un supermercato. I libri curano l’anima e per farsi curare bisogna anche avere tempo da condividere e non da regolamentare. Bisogna poter “sentire” il profumo della carta stampata e non quello della candeggina o dell’amuchina. La libreria non è fatta per il distanziamento sociale ma per l’incontro, il confronto, l’anima che non può avere distanze misurabili.

Sulla base di queste considerazioni su una decisione che ci sembrava un po’ “fuori sinc”, anche perché gli italiani saranno barricati in casa almeno fino al 3 maggio, abbiamo deciso di sentire alcuni librai che ci hanno raccontato la loro quarantena e le prospettive per domani.

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Uno dei primi effetti della pandemia – ci dicono le titolari di una libreria per bambiniè stata certamente la chiusura improvvisa delle attività, che ha comportato non solo una perdita economica dovuta al mancato incasso, ma anche un’esposizione nei confronti dei fornitori. A ciò si aggiunga che non c’è stata alcuna sospensione degli affitti (di cui si riesce a recuperare solo 60 % come credito di imposta) né delle utenze che abbiamo sostenuto nonostante la chiusura della libreria.

La ripresa, è vero, sarà molto lenta e benché si possano attuare delle strategie per riuscire a “sopravvivere”, il distanziamento sociale mina alla base la possibilità di vivere la libreria come un luogo in cui perdersi e restare, ma soprattutto di esercitare a pieno il suo ruolo di presidio culturale.  Non sappiamo quando sarà possibile tornare a fare presentazioni con gli autori, laboratori didattici, progetti con le scuole o partecipare a festival culturali di promozione alla lettura. Queste attività, che per noi rappresentano la linfa vitale della libreria, vanno oltre la vendita del libro e ci saranno precluse per chissà quanto tempo.”

Un po’ più ottimista per il futuro è Alessio della libreria Il Mattone di Roma che sostiene: “Le librerie subiranno certo un contraccolpo sociale alla riapertura, perché per un periodo, non lungo ma neanche tanto breve, saranno totalmente diverse da come sono sempre state. Io vivo di chiacchiere, strette di mano, abbracci, caffè, condivisioni di idee, di pareri e di tutto ciò che ruota attorno ai libri. Per un po’ non sarà così e mi sembrerà di lavorare in un altro luogo. Il distanziamento sociale, per chi vive di avvicinamento sociale, è la cosa peggiore che possa capitare. Ciò che aiuta è la percezione che sia una situazione momentanea e che l’uscita del tunnel arriva, anche se lontana. Sono favorevole alla riapertura anticipata rispetto ad altre attività. La cosiddetta fase 2 va fatta sì lentamente, ma dobbiamo ricominciare ad alzare le serrande. Le direttive sono chiare: l’ambiente deve essere sano e pulito, mascherine e guanti obbligatori e ingresso regolamentato. Io sono pronto. E per chi non se la sente monto in bicicletta e porto io i libri a casa. Ripartiamo! 

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Paola della libreria Arethusa di Roma parla dei mutamenti a livello sociale che tutto questo provocherà e su come è cambiato il loro rapporto col territorio: “Ritengo che nel prossimo futuro dovremmo seriamente pensare a reinventare il nostro stile di vita e di socializzazione. La tipologia della nostra attività culturale ed anche commerciale, rappresenta un polo importante per la vita di quartiere, la nostra presenza sul territorio da decenni, ha visto costituire e rinnovarsi intere generazioni, da qui si può capire quanto sia forte il significato di un attività come la nostra che si è evoluta sulle esigenze non solo di mercato ma soprattutto su quelle che sono state le richieste culturali del territorio in cui operiamo. Noi siamo abbastanza convinti che proprio per la particolarità di questo rapporto pluridecennale  riusciremo a modulare  una condizione che ci riavvicinerà a quella che sarà da adesso in poi una nuova normalità. Per quanto riguarda la possibilità di riapertura anticipata al 20 di aprile, siamo consapevoli della necessità di adottare tutte le  misure della messa in sicurezza di addetti ai lavori  e dei clienti; ne siamo lieti  e siamo altrettanto desiderosi di riappropriarci del nostro lavoro e di restituire alla clientela un luogo sicuro e piacevole che è di prima necessità, non sarà pane ma è comunque cibo per l’anima!”

Tutti all’unisono hanno ribadito che a fronte di una mancanza di aiuti specifici per il settore della cultura, e l’impossibilità di prevedere l’andamento economico delle librerie, dalla riapertura in poi, la possibilità di perdere quelle poche agevolazioni che sono state messe in campo fa abbastanza paura.

Ma i librai e le libraie hanno un temperamento forte e sono abituati a combattere. Pronti di nuovo ad imbracciare i remi e ripartire, nonostante il vento forte e l’acqua increspata. In bocca al lupo, paladini del sapere e del sogno!

Gilda Luzzi

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