Assistere ad un concerto di Brad Meldhau non è cosa che duri strettamente il tempo della sua esibizione. Sembrerà di ascoltarlo per un paio di ore, ma la sua musica non si consuma nel tempo in cui la udiamo.
Si resta in bilico nel suo disegno ammaliante di rigore ed abbandono per diverso tempo oltre quello della esibizione.
Pianista newyorkese originario di Jacksonville (Florida), tra i più innovativi e importanti della scena jazz mondiale, partendo da una formazione classica si è presto convertito al jazz. Brad Mehldau è arrivato sul palco dell’Auditorium martedi 21 aprile con il suo straordinario trio, che è una delle più grandi sezioni ritmiche in circolazione: Larry Grenadier al contrabbasso e Jeff Ballard alla batteria.
Piombato nel panorama internazionale alla fine degli Anni Novanta come un fulmine a ciel sereno, Brad Meldhau fu la “scoperta” della edizione 1997 di Umbria Jazz. Scritturato per una serie di concerti serali in un club perugino, passò dai pochi ascoltatori al palco principale e da qui ai maggiori palcoscenici mondiali diventando, in poco tempo, una stella del firmamento jazzistico mondiale.
Tutto iniziò per lui ben prima di Umbria Jazz, infatti fu nel 1994 che Brad Mehldau forma un trio sulle orme e sotto l’influenza dichiarata di Bill Evans.
Incide il primo album intitolato “Introducing” nel 1995, un manifesto dei suoi prossimi lavori in trio. Nel 1999 concepisce “Elegiac Cycle”, album solista, diverso dal solito, vagamente impressionista.
Nel 2000 arriva il disco “Places”, sempre in trio. Incide nel 2002 “Largo” non più con il suo abituale trio ma con gruppi diversi: altri spazi si stanno aprendo alla musica di Mehldau. Il suo percorso artistico è stato tanto intenso quanto prolifico, anche discograficamente parlando. Tappe bruciate con caparbietà ed applicazione, ma anche con una sua straordinaria apertura mentale rispetto ai generi che lo hanno portato ad essere amato dalla critica più esigente tanto quanto dal grande pubblico.
Il pubblico più esteso che non proveniva necessariamente dal jazz in senso stretto e che lo aveva notato inizialmente perché Brad suona composizioni originali e standard jazz con una personalità sbalorditiva ma anche per i suoi arrangiamenti jazz di canzoni famose e la preferenza per la musica di Radiohead di Nick Drake e dei Beatles.
Il live iniziato poco dopo le 21 nella Sala Sinopoli dell’Auditorium di Roma ha attraversato temi popolari, citazioni classiche e ripiegamenti acidi in ogni direzione espressiva, standard magnifiche, momenti di ritmica saturi di tensione straordinari, proprio come in un viaggio ben strutturato si è fatta qualche sosta anche nella musica brasiliana con una buffa notazione di Meldhau che raccontava di Cicho Barque che amava l’italia ma non è venuto mai nel suo Paese.
Splendidi bis: una preziosissima ” I love her” dei Beatles per chiudere con l’incanto felice di West Coast Blues di Wes Montgomery.
Meldhau è fautore di un jazz creativo, sincretico e visionario. Autenticamente aperto alle suggestioni del pop e del rock come pure alle sonorità e alle strumentazioni elettroniche: distante come lo è la musica più importante, dalle sconclusionate “spaccature “che impegnano le “comunità” del jazz attuale. Se è considerato il pianista di maggior talento della sua generazione, Brad Mehldau lo deve anche al fatto di aver aperto le porte del jazz club per un pubblico di neofiti.
Per chi vive una scena provinciale come è orami irrimediabilmente quella di Roma, sempre più impegnata a discettare su cosa sia jazz e cosa non meriti la classificazione aurea piuttosto che ad arginare una miseria culturale senza precedenti, è fondamentale aver accesso a questo livello di espressione musicale. Non è utile esprimere a parole cosa accade quando si coltiva una idea internazionale e di avanguardia della musica, è utile ed auspicabile ascoltarlo direttamente dal palco di musicisti quali Brad Meldhau.
A suo tempo questo pianista fu un talento affermatosi senza bisogno di enormi sforzi promozionali od astuzie da marketing: non ricevette sponsorizzazioni da parte di grossi festival o patrocini di musicisti dai nomi altisonanti. Non è cosa da tacersi per chi, come noi, conosce una idea del talento oggi profondamente alterata. La parola si è svuotata di senso; un vocabolo brutalizzato nei format televisivi, o che peggio con una controparte vagamente romantica e altrettanto fasulla, fiocca sul musicista miracolo del momento, quasi sempre una stravagante figura di inconsistenza costruita a tavolino dal marketing musicale.
Meldhau è limpido com’ è la musica di grande qualità, piena di trovate espressive mai finalizzate ad una spettacolarità fine a se stessa. Meldhau è prima di tutto un improvvisatore, che impugna una visione musicale e che riesce a rendere un’idea libera in tempo reale. Non di meno si sente nella sua visione sonora tutto il fascino che ha su di lui la architettura formale imprescindibile della musica. Ogni pezzo ha una forte costruzione narrativa, che si esprime in qualcosa che è spontaneamente lasciato spalancato.
Il Trio con Larry Grenadier al contrabbasso ed un fenomenale Jeff Ballard alla batteria lascia addosso una certa idea di irripetibilità.
Irripetibilità di cui si ha un gran bisogno.
Valentina Pettinelli