Che cosa parliamo quando parliamo di electro-swing? Simona Molinari, ieri sera (29 gennaio) sul palco dell’Auditorium di Roma per la data conclusiva del suo tour La Felicità, ci ha tenuto a spiegarlo con ogni mezzo.
Tra parole, scherzi musicali e non, tono leggero e capacità vocali davvero indiscutibili, la cantante e compositrice partenopea, ha messo in scena un piccolo frammento divulgativo del jazz italiano. Il live, preceduto da un bel momento di rievocazione di swing, con tanto di scorcio sul ballo dell’epoca – curato dalla compagnia Swing Circus – è entrato nel vivo toccando il pubblico solo dopo un paio tra i brani più noti dell’artista.
Eppure se la musica dovrebbe spiegare da sè ogni cosa, viene da pensare che gli intenti didascalici sulla storia dello swing non giovino al repertorio della Molinari, che invece, funziona a prescindere e che non ha bisogno di essere sorretta da nessuna contestualizzazione.
I suoi testi, sempre in bilico tra ironia e narrazione femminile, si alternano in una scaletta piena di prestiti e rifacimenti da altri autori. Le canzoni scritte dalla Molinari restano con tutto ciò sempre ben caratterizzate: hanno testi più recitati che cantati, un beat scorrevole, una atmosfera lieve e piena di sonorità tipiche del jazz, dove il ritornello è sempre pensato per essere di sicuro impatto.
Inoltre, i suoi testi si distinguono per la narrazione: Simona Molinari racconta una donna di carattere difficile ma mai banale, che vorrebbe farci pensare anche che lei non ami prendersi sul serio. Un suggerimento quasi dal mondo pop e che vale bene in questo suo elettroswing assai contemporaneo.
E invece la compositrice fa davvero un gran lavoro e scelte impegnative: si permette una revisione di Mr. Paganini, dichiarando il suo debito ad Ella Fitzgerald, come scintilla primaria del suo interessamento al jazz. Si inerpica sul non meno importante pezzo luttazziano “Canto (anche se sono stonato)”, reinterpreta Natalino Otto e scopre le carte sulla natura più emotiva del suo canto con “Buonanotte Rossana”, canzone che il Maestro Lelio Luttazzi, scomparso nel 2010, ha composto per sua moglie.
Una ninna nanna voce e piano che vede la Molinari visibilmente commossa dalla presenza della moglie stessa di Luttazzi in sala e riesce, nella sua bellezza condivisa tra donne, ad estendere al pubblico una autentica partecipazione ad un testamento d’amore di grandissima sensibilità e bellezza.
Se consideriamo che, alle spalle dei buoni concerti, c’è sempre un lavoro collettivo, La Mosca Jazz band sul palco ha un affiatamento felicissimo e ben visibile con la solista. Nella band – che suona da diversi anni con la Molinari – si è fatta notare la figura trasversale di Frank Armocida, percussionista e “campionatore umano” sul palco. Tra tamburi e loop station appare soprattutto suo il personaggio del destabilizzatore operativo, contro l’ idea più passatista dello swing.
Ma per chi scrive è la pianista Sade Mangiaracina che non può proprio passare inosservata per il suo lavoro di tessitura musicale. Il suo piano ha percorso l’Auditorium nella serata conclusiva di questo Festival Lazio Wave 2014, con quella bellezza limpida dell’equilibrio nell’accompagnamento, che è sempre fortunato incontrare e distinguere nel mestiere di musicista.
Valentina Pettinelli