Al netto di quel talento stilistico che spicca sempre nelle pellicole di Sorrentino, il nuovo film del regista napoletano, forse carico di troppe aspettative, un po’ delude
Con Parthenope, ultimo film di Paolo Sorrentino, ritroviamo tutti i temi cari al regista napoletano: la bellezza, la giovinezza, la decadenza e il disincanto. Il film ripercorre la vita di una donna “sirena”, di nome Parthenope (interpretata da Celeste Dalla Porta nel ruolo della donna giovane e da Stefania Sandrelli nella parte dell’età avanzata), dal 1950, suo anno di nascita, ai giorni nostri. Sullo sfondo c’è Napoli, città magica e stregata. Parthenope è una giovane donna bellissima e malinconica, traboccante di passione per la libertà e l’amore declinato in tutte le sue forme: amori veri, inutili e indicibili. Questa donna è come Napoli, misteriosa e indefinibile. Entrambe navigano tra sacro e profano, con stile barocco, senza volgarità, mai blasfeme. La fotografia del “maestro” Sorrentino è come sempre sublime; la colonna sonora con titoli iconici e musica originale (“e si arrivata pure tu” di Valerio Piccolo) è accattivante, gli attori perfetti nei propri ruoli. Eppure Parthenope non convince! Tempi lunghi, dialoghi scuciti, scritti più per stupire che per raccontare; e ancora una certa superficialità estetica. A volte borioso, talvolta ripetitivo, sembra un film che il cineasta pluripremiato ha fatto più per raccontarsi che per raccontare. L’autocelebrazione supera i confini. Tutto ciò condanna il film a critiche divisive e il pubblico a uno sconcerto evidente. Un vero peccato. Si salvano le due protagoniste femminili. Forse, perché, davvero, Napoli è…donna!
Ornella Piccirillo (ha collaborato Maria Grazia Galati)